Coco Cano

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Coco Cano è nato a Montevideo, Uruguay, dove ha studiato all’Accademia Nazionale di belle Arti; negli anni Settanta è costretto ad abbandonare il Sud America, in fuga dalle dittature militari.

Arrivato in Europa vive a Barcellona, Bordeaux, Amsterdam e Berlino, tappe che precedono l’approdo in Italia, dove ritroverà quell’idea abbandonata, cercata e finalmente trovata: una casa.

A Torino si ferma, studia grafica e fotografia, conosce nuove persone e si stabilisce definitivamente.

L’incontro con il territorio delle Langhe ed il Roero è una collisione spirituale dalla quale Coco non si separerà mai più. Le colline sinuose gli ricordano il suo mare lontano ed irraggiungibile, le onde dell’Atlantico si confondono con i filari del vino.

Qui conosce Carlin Petrini, presidente dell’allora nascente movimento Slow Food, che gli organizza la sua prima mostra personale in Italia. Grazie a lui viene in contatto con un giovane ed illuminato produttore vinicolo, Matteo Correggia, che a sua volta sta cercando un’idea per le etichette dei suoi vini: legati alla tradizione eppure rivoluzionari. Da quel momento la collaborazione con Matteo e la sua famiglia non si interromperà più.

Nel corso degli anni sono stati prodotti pezzi artistici in edizione limitata, come serigrafie, incisioni su ardesia e grafiche dedicate.

A partire dal 2016 Coco Cano e l’azienda Correggia lavorano al progetto Correggia Cultura, che ha come obiettivo il naturale legame esistente tra vino e cultura

Nella nuova serie di etichette, datata gennaio 2017, la presenza di piccole porzioni delle sue opere, ci invita a guardare avanti con rinnovata fiducia, con energia ed ottimismo al futuro da costruire, insieme alle nuove generazioni.
La struttura delle colline è sempre la stessa, anche se adesso i diversi vitigni hanno un disegno comune, variando quasi impercettibilmente il paesaggio del Roero.

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Coco Cano: un artista con l’anima a colori

Carlo Petrini, rubrica Storie di Piemonte, La Repubblica, dicembre 2015

Oggi vi racconto una storia fatta di mari attraversati, colori, guerre ed esili, di abbandoni, rinascite e anime variopinte. Coco Cano, amico e compagno di mille avventure, nasce in Uruguay, il Paese «a forma di cuore», come ama definirlo. Incastonato tra Argentina e Brasile, l’Uruguay è «abitato interamente da europei», discendenti dei coloni che nei secoli scorsi se ne sono contesi il controllo.

«Siamo riservati, più piemontesi dei nostri vicini, ecco perché mi trovo così bene qui a Carmagnola!», ci racconta scherzando, con quel suo sguardo entusiasta e colmo di energia. Ma prima di arrivare in Piemonte il viaggio di questo poliedrico artista è ancora molto lungo. Coco studia belle arti a Montevideo, prima di unirsi al movimento popolare che all’inizio degli anni ’70 combatte contro il regime militare. Sono anni duri, di prigionia, torture e lotte durissime, su cui però Coco non si sofferma, perché «come dice anche “il Pepe”, dobbiamo guardare avanti, non serve nascondersi nel passato». “Il Pepe” è proprio lui, l’ex presidente dell’Uruguay Mujica, che nel suo mandato si è battuto per migliorare le condizioni di vita del suo popolo, con cui Coco ha condiviso la lotta. Molto preparati ideologicamente ma non altrettanto militarmente, i giovani rivoluzionari perdono la guerra e lasciano un Paese con la percentuale più alta di prigionieri politici e un’intera generazione costretta all’esilio. Prima l’Argentina, poi l’Europa, dove Coco decide «di andare a trovare un gruppo di amici a Torino, e invece trovo Giuliana, la mia compagna di vita», racconta sorridendo, con quell’accento ancora spagnoleggiante che incanta. Qui la sua arte trova forme diverse, che passano dalla musica alla pittura, ed è proprio in questo periodo che ci conosciamo, cantando tra i filari durante i primi Cantè j’Euv. «Le Langhe mi hanno stregato, per me è stato come vedere un mare verde, quello che sognavo ogni notte e che mi separava dalla mia terra, in cui al momento era impossibile tornare. Diventano il mare dove io scopro la vita, dove è radicato l’amore dell’uomo per la terra, per le radici, per i veri valori». Elementi che troviamo nelle opere di Coco anche dal punto di vista grafico, fin dalle prime etichette create per i vini di Matteo Correggia, in cui le Langhe sono rappresentate come le onde del mare, «e non vi dico i commenti degli agricoltori più tradizionali!». Nel 1982 organizziamo insieme la sua prima mostra all’Osteria dell’Unione di Treiso, «nel cui forno si nascondevano i partigiani durante la guerra, un altro simbolo che mi riporta agli anni di lotta in Uruguay, che lega la mia storia a questo territorio, facendomi comprendere che davvero tutti apparteniamo a un disegno molto più grande di noi che ci lega in modo indissolubile gli uni agli altri».

Nonostante queste esperienze, l’approdo in Italia è stato tutt’altro che semplice, «ero senza lavoro e quindi senza cittadinanza, potete immaginarvi la gioia di mio suocero, si era trovato in casa un genero davvero complicato!», scherza Coco, prima di puntualizzare orgoglioso che il suo certificato di “italianità” è stato poi firmato da Sandro Pertini. Gli anni a Carmagnola vedono esplodere la sua creatività e l’impegno per lo sviluppo del territorio, su cui si butta a capofitto. «Con Renato Dominici abbiamo dato vita alla rete museale della città, restituito linfa alla fiera del peperone e creato parecchi Presìdi Slow Food, eravamo proprio matti!». Schivo e sempre molto umile, Coco omette di raccontarci che il simbolo di Carmagnola è opera sua, così come moltissime altre iniziative nel campo sociale e culturale. So che lui storcerà il naso a questo commento, ma venendo alle sue tele, non si può che essere affascinati dai colori che usa, una vera esplosione di energia. «In realtà nel periodo che va dal mio esilio a Buenos Aires fino al 1988, anno in cui nasce Federico, dipingevo in bianco e nero, inserendo solo le quattro piume colorate dell’anima, in cui il rosso rappresenta il sangue, il giallo il sole, il viola l’anima, e l’arancione la mediazione, quella a cui sono dovuto spesso ricorrere per continuare a vivere le mie molte vite», racconta. Poi, la svolta. «Federico mi apre le porte del colore, lui è una bomba di vita, il simbolo del futuro e di quella forza che io ho ereditato da mia mamma». Ecco che quasi senza volerlo il colore comincia a invadere le sue opere. «Contrariamente a quanto si possa pensare, i miei colori quindi non sono un’eredità latinoamericana, ma decisamente europea, dove ho trovato un equilibrio e la mia vera vita».

Vita che si divide tra lo studio di Carmagnola, la galleria d’arte Caracol in centro a Torino e i molti laboratori con i bambini. «Noi che facciamo questo mestiere siamo come gli sciamani, abbiamo un potere magico, diamo spunti all’immaginazione e interpretiamo i sogni. I bambini sono un’esplosione di fantasia, lavorare con loro dà un’energia indescrivibile». Sono sue le illustrazioni delle Filastrocche a colori, trasformate anche in una mostra itinerante donata a scuole e biblioteche che vogliono organizzare laboratori didattici che stimolino il lessico, l’immaginazione, la musica e i sentimenti. Porta la sua firma anche la mostra Il Paese che sono io!, in collaborazione con la Fondazione Paideia, dove protagonisti sono bambini disabili che impersonano ognuno un Paese diverso e insieme rappresentano il mondo. Un modo per combattere il disagio e per mettere in luce le sensibilità e sfumature che li rendono davvero unici. Coco resta in silenzio un attimo, come per lasciar cadere le emozioni che queste mostre fanno inevitabilmente riaffiorare. «Per me queste danno un senso al mio lavoro, io non chiedo di più. L’arte serve per star bene, dobbiamo cercare di farci forza per essere felici, non dobbiamo crogiolarci nello star male, e anche questo è un insegnamento del Pepe. Quando dipingo mi accorgo che dentro di me c’è un mondo che tiro fuori nei miei quadri, che è ciò che mi sono portato dietro in questi anni, nei miei viaggi e nelle mie esperienze. E se io riesco a trasmettere energia con il mio lavoro, allora ha più senso, perché un’opera deve parlare da cuore a cuore senza bisogno di troppe spiegazioni, deve essere una sensazione, come un amore a prima vista».

La luce inonda il suo studio accendendo ancora di più le opere alle pareti. Mentre usciamo sentiamo alzarsi in sottofondo l’immancabile musica latinoamericana, chissà quale idea sta prendendo forma dalle sue dita. Le Langhe come onde, una luna al contrario, un bambino con quattro capelli colorati dritti in testa. In un suo libro Coco ha scritto: La nostra coscienza è in bianco e nero, l’anima a colori. Sicuramente con questo incontro lui ha colorato la nostra.